venerdì 29 gennaio 2021

I meccanismi di esclusione sociale

Definizione problematica

La devianza si configura come la forma più acuta di conflittualità sociale. Con il termine “devianza” i sociologi indicano ogni comportamento che “devia” (cioè che si allontana) dalle norme socialmente stabilite. Il concetto di devianza, tuttavia, è più problematico di quanto la sua spiegazione sembri suggerire.

In primo luogo, il fatto che la normalità, e conseguentemente la devianza, si costituiscano solo in rapporto alla loro definizione sociale ha un’immediata conseguenza: nessun comportamento è di per sé deviante e ciò che appare tale in un certo contesto sociale o momento storico può non esserlo in altri tempi e luoghi. Il fatto che un certo atto possa apparire “normale” a chi lo compie non ne abolisce il carattere deviante, se così lo definiscono i canoni socialmente costituiti.

In secondo luogo, quando parliamo di “norme sociali” ci riferiamo a una pluralità di regole di condotta, differenti per tipo di legittimazione e grado di obbligatorietà.

L’esistenza di norme diverse per contenuto e tipologia pone problemi di “giurisdizione” tra le une e le altre norme. Le usanze e i costumi morali non sono ugualmente praticati all’interno della società da tutti i membri, mentre le norme giuridiche, emanate dallo Stato, valgono in modo indifferenziato per tutti gli individui.

 


La sociologia di fronte alla devianza

Nella seconda metà dell’Ottocento, in piena cultura positivista, il criminologo Cesare Lombroso (1835–1909) ipotizzò addirittura un’origine biologica della 

devianza e arrivò a sostenere che i criminali fossero identificabili attraverso precise caratteristiche fisiche, come ad esempio la forma del cranio. La specificità di un approccio sociologico alla devianza è data dal tentativo di mettere in correlazione l’insorgenza di condotte devianti non già con particolari fattori individuali.

È all’interno della Scuola di Chicago che nascono i primi studi sul fenomeno della devianza. Nelle opere The Hobo (1923) di Nels Anderson, The Gang (1927) di Fredric Thrasher e The Professional Thief (1937) di Edwin Sutherland, la condotta deviante viene vista come il prodotto di una particolare subcultura, cioè di un complesso di idee, valori, modelli di comportamento e linguaggi elaborato da un certo gruppo, all’interno del quale l’individuo compie un percorso di socializzazione. I sociologi di Chicago, inoltre, studiarono il rapporto tra le diverse comunità devianti e la configurazione spaziale della vita urbana, mostrando come esse tendessero maggiormente a proliferare in certe aree territoriali piuttosto che in altre, precisamente in quelle dove era più alta la disorganizzazione sociale, cioè dove era più debole l’influsso delle norme della società statunitense convenzionale.

 

Merton, la devianza come divario tra mezzi e fini sociali


Merton parte dalla constatazione che, all’interno della società, esiste un divario tra gli scopi che vengono proposti ai membri della società stessa e i 

mezzi effettivamente disponibili per conseguirli.

Merton è consapevole che non tutte le persone che avvertono questo scarto mettono in atto comportamenti devianti; esistono infatti, secondo lo studioso, altre possibilità di reazione individuale a questo divario tra mezzi e fini sociali:

  • il conformismo
  • il ritualismo
  • la rinuncia
  • la ribellione


La teoria di Merton è stata accettata e ripresa da altri studiosi. I devianti non appartengono a queste categorie sociali; com’è facilmente constatabile dalla semplice lettura di un quotidiano, i reati e le attività socialmente deprecabili sono “trasversali” a tutte le fasce di popolazioni.

 

Uno sguardo sulla devianza

Edwin Lemert (1912–1996), Erving Goffman (1922–1982) e Howard Becker 
(1928), propongono un’opera, conosciuta con il nome di labeling theory, ovvero “teoria dell’etichettamento”. 
Il nocciolo di questa prospettiva può riassumersi così: la devianza non è un attributo di determinati gruppi o individui, ma una condizione che i viene a creare in seguito a determinati meccanismi di attribuzione e definizione delle situazioni. 
La “definizione sociale” della devianza opera a più livelli.
  • In primo luogo, come abbiamo già osservato inizialmente, la “definizione sociale” della devianza precisa ciò che dev’essere ritenuto lecito o normale.
  • In secondo luogo, la “definizione sociale” della devianza circoscrive la situazione che si crea quando la norma socialmente stabilita viene infrante da un certo comportamento.


 


Lemert esprime un concetto analogo distinguendo tra devianza primaria e devianza secondaria. Il meccanismo è ben riassunto dallo schema seguente:
  1. Trasgressione della norma
  2. Etichettamento sociale
  3. Sviluppo di abitudini, convinzioni e motivazioni che rafforzano la condotta deviante
  4. Devianza secondaria

 

A queste osservazioni si potrebbe obiettare che anche l’insorger
e della devianza primaria esige una spiegazione e che la teoria dell’etichettamento non chiarisce nulla in merito.

In secondo luogo, perché l’analisi delle carriere devianti mostra che vere e proprie motivazioni si sviluppano solo dopo che l’attività deviante si è consolidata.

Bisogna inoltre considerare che l’opera di etichettamento non è indipendente da variabili socio-ambientali.


Bisogna infine osservare che il percorso verso la devianza secondaria viene spesso alimentato proprio da quelle strutture sociali che dovrebbero correggerla o prevenirla: carceri e riformatori sovente non aiutano l’individuo a rientrare sulla strada della legalità, ma lo imprigionano in un’identità ormai compromessa, che ne rende problematico il reinserimento sociale.


Che cos’è la devianza?

-       La devianza si configura come la forma più acuta di conflittualità sociale. Con il termine “devianza” i sociologi indicano ogni comportamento che “devia” (cioè che si allontana) dalle norme socialmente stabilite. 

 

 Perché non esistono comportamenti devianti “in assoluto”?

-       Il concetto di devianza, tuttavia, è più problematico di quanto la sua spiegazione sembri suggerire.

In primo luogo, il fatto che la normalità, e conseguentemente la devianza, si costituiscano solo in rapporto alla loro definizione sociale ha un’immediata conseguenza: nessun comportamento è di per sé deviante e ciò che appare tale in un certo contesto sociale o momento storico può non esserlo in altri tempi e luoghi. Il fatto che un certo atto possa apparire “normale” a chi lo compie non ne abolisce il carattere deviante, se così lo definiscono i canoni socialmente costituiti.

In secondo luogo, quando parliamo di “norme sociali” ci riferiamo a una pluralità di regole di condotta, differenti per tipo di legittimazione e grado di obbligatorietà.

 

Qual è la specificità dell’approccio sociologico alla devianza?

  • La specificità di un approccio sociologico alla devianza è data dal tentativo di mettere in correlazione l’insorgenza di condotte devianti non già con particolari fattori individuali.

 

In cosa consiste la labelling theory ?

  • Il nocciolo di questa prospettiva può riassumersi così: la devianza non è un attributo di determinati gruppi o individui, ma una condizione che i viene a creare in seguito a determinati meccanismi di attribuzione e definizione delle situazioni. La “definizione sociale” della devianza opera a più livelli. In primo luogo, come abbiamo già osservato inizialmente, la “definizione sociale” della devianza precisa ciò che dev’essere ritenuto lecito o normale. In secondo luogo, la “definizione sociale” della devianza circoscrive la situazione che si crea quando la norma socialmente stabilita viene infrante da un certo comportamento.

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